Condannata dall’A.B.F. la Banca che, per indurre il debitore persona fisica al rientro, blocca il conto attivo della società di cui egli è amministratore.
Illegittima la limitazione operativa coartativa all’adempimento apposta dalla Banca al conto corrente di una società il cui amministratore è personalmente moroso nei confronti dello stesso istituto.
(A.B.F., Collegio di Roma, decisione n. 2740 del 07.02.2019 – procedimento patrocinato dall’Avv. E.M. Bartolazzi Menchetti).
L’Arbitro Bancario e Finanziario, con decisione n. 2740 depositata lo scorso 07.02.2019, ha stabilito che gli istituti di credito non possono, al fine di indurre il loro debitore all’adempimento, applicare blocchi operativi in relazione a conti correnti attivi, non intestati al predetto soggetto, ma ad esso riconducibili.
L’utilizzo di un simile metodo di coercizione, in quanto ritenuto “adottato unicamente come strumento di pressione e al solo scopo di costringerlo a prendere impegni volti a sistemare le pendenze finanziarie con lo stesso intermediario“, infatti, secondo il Collegio contrasta con i principi generali di correttezza e buona fede stabiliti negli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c., al rispetto dei quali la Banca è contrattualmente tenuta.
L’Arbitro ha pertanto ritenuto di poter censurare il comportamento della Banca, tenuto conto del fatto che “E’ indubitabile che nell’esercizio dell’attività creditizia: “la discrezionalità tecnica di cui indiscutibilmente gli intermediari dispongono … non può che svolgersi all’interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l’ordinamento loro richiede, il che rende certamente sindacabile, limitatamente a tali profili, la condotta degli stessi nello svolgimento di tale attività”(Coll. di Roma, Dec. n. 2625/2012)”
Il caso sottoposto all’Arbitro atteneva il ricorso presentato da una società che si vedeva bloccare, per diversi giorni, l’operatività su un proprio conto corrente recante saldo attivo. Da una verifica informale risultava quindi che la Banca aveva provveduto a congelare il predetto conto corrente, consentendo unicamente movimentazioni in entrata, in considerazione dell’esistenza di pendenze verso l’istituto facenti capo all’amministratore di tale società, nonché ad altra persona giuridica, sempre amministrata dallo stesso soggetto.
La società ricorrente, peraltro, non aveva ricevuto alcuna formale spiegazione dall’istituto, nè in preavviso della misura, nè successivamente.
L’Arbitro ha quindi evidenziato come la Banca in questione non abbia in alcun modo fornito giustificazioni atte a smentire la ricostruzione della ricorrente, deducendone “l’illegittimità del comportamento dell’intermediario, attestatosi in violazione delle norme di correttezza e buona fede contrattuale, avendo abusato della propria posizione di diritto – ossia della potestà sul conto – per ottenere l’adempimento di altri rapporti del tutto estranei a quello in oggetto”.
Conseguentemente, l’Istituto di credito è stato condannato al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa in considerazione del fatto che la mancata operatività del conto corrente, per una società esercente attività di investimento per conto di clienti, “non può che aver avuto delle ripercussioni sull’attività stessa della società ricorrente, difficilmente oggettivamente quantificabili da parte del ricorrente”.
Qui il testo della decisione.